3 aprile 2010
Abbiamo dormito, senza saperlo, a due passi dal porto più famoso al mondo (così ci viene detto e lo riporto senza previa verifica) per la pesca alle acciughe. La flotta di pescherecci alla fonda è infatti di considerevoli dimensiomi.
Riprendiamo la strada per il nord, dopo pochi minuti scorgiamo, fermi ad un distributore di benzina, i nostri due nuovi amici colombiani. Si erano fermati prima ieri sera ed avevano montato la tendina in un’area di servizio. Paragonata con il nostro 3 stelle, probabilmente la tenda sarebbe stata una soluzione migliore anche per noi.
Ci fermiamo per salutarli e bere un caffè con loro. Si decide di proseguire assieme e così facciamo per diverse ore. Lungo la via incrociamo decine di pattuglie di polizia, soprattutto prima e dopo i paesi. Qualcuna fa segno di fermarci ma noi salutiamo cortesemente e tiriamo diritto. Per fortuna non succede nulla.
Dopo alcune ore di viaggio, ci rifermiamo per il rifornire le moto. I nostri amici sono pronti per ripartire ma Nini sta fumando una sigaretta. Concordiamo che loro proseguiranno, viaggiando lentamente e noi li raggiungeremo per strada.
Partiamo con un po’ di ritardo. Ci fermiamo presso una banca per cambiare dei dollari e poi via, all’inseguimento.
Mancano ancora 60 kilometri per Chiclayo, la meta concordata, quando la KTM di Nini emette all’improvviso una nuvola di fumo bianco e si spegne. Il problema appare subito preoccupante. Tentiamo con ogni mezzo di farla ripartire ma non dà segni di vita. Ah, queste moto moderne!!!!
Nella mia sacca da “Eta Beta” non manca certo una corda di traino. Agganciamo il cavo e tentiamo di ripartire. Il primo tentativo appare difficoltoso e piuttosto rischioso. Sulla strada transitano dei missili. Le moto sono cariche e devo rimanere sulla banchina piena di buche.
Appena prendiamo velocità, Nini inserisce la quarta e la moto sputacchia, strattona, ma poi si accende. Sgancio la corda e ripartiamo.
Percorsi quasi tutti i 60 chilometri che ci separano dalla città e dall’appuntamento con i colombiani, la moto si ferma nuovamente. E questa volta non c’e’ nulla da fare. Il radiatore della KTM è vuoto. Aggiungiamo dell’acqua, visto che nei numerosi distributori che vediamo in zona, il liquido refrigerante non sanno nemmeno cos’è.
L’acqua entra nel radiatore ed esce dai giunti della marmitta. Quando Nini fa girare il motore, che non si accende, dalla marmitta escono spruzzi d’acqua per 2 o 3 metri. Lo riaggancio al cavo di traino e lo trascino fin dove ci hanno detto che dovrebbe esserci un mecccanico.
La bottega c’è, il meccanico no. É logicamente sabato pomeriggio e come ogni buon sabato di vigilia, promette che domani sarà Pasqua. Per tutto il giorno!!! Guai ad arrendersi. Trasciniamo la moto di Nini all’interno di un “lavado”, dove lui approfitta per fare pulizia ed io parto alla ricerca di un fantomatico meccanico aperto la vigilia di Pasqua.
Chiedendo e con molta fortuna, mi forniscono delle indicazioni. Contattato telefonicamente, il meccanico mi invia un tuk, tuk che mi conduca fin da lui. Prendo accordi e poi torno da Nini per rimorchiarlo.
Un poliziotto in motoretta, che mi aveva notato a bordo strada, mi assiste in tutta l’operazione e mi scorta avanti e indietro, fermando il traffico agli incroci. Che bello, ci sono anche i poliziotti ok! Questo insiste per darmi il suo cellulare. Si chiama Avellaneda, come una certa strada di Cordenons dove vive Romano, il mio consuocero. Ciao Romano, poi ti racconterò tutto nei dettagli!!!!
Il meccanico dispone di uno spazio. Chiamarla officina mi sembrerebbe di esagerare. Insiste che il problema dipende dall’acqua del lavaggio (Nini ha appena fatto lavare la moto) che, in pressione, sarebbe entrata nel motore. Semo a posto!
Inizia a smontare ed io vado alla ricerca di una sistemazione per la notte. Mi riscatto, rispetto alla notte precedente e trovo un 3 stelle vero, con tanto di piscina.
Quando torno da Nini, il motore della KTM è già parzialmente dentro un catino. Il termostato appare parzialmente fuso e le candele cominciano già a far la ruggine. Che ci sia un problema?
Beh, non bisogna drammatizzare. Domani è Pasqua e sicuramente tutto si risolverà, l’Equador ci aspetta.
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2 aprile 2010
Stamattina abbiamo reclutato un taxista e ci siamo fatti portare a visitare Lima. Pensavo di trovare una città confusionaria, in disordine, con vecchi palazzi ingrigiti dal tempo. Abbiamo visto una Lima diversa. Oggi è Venerdì Santo ed anche per questo il traffico era ridotto al minimo.
La città è abbastanza moderna, con dei bei quartieri dalle strade larghe. Anche il centro è in ordine, pulito e poco chiassoso.Un giretto in centro, nelle vie principali, e poi al mercato dell’Artisania dove comperiamo delle piccole zucche la cui superficie è finemente incisa da artisti di una provincia dell’interno. Non so come e se riusciremo a portare a casa intere queste piccole opere d’arte. Per ora sono sistemate dentro gli zaini, poi sarà opportuno riporle all’interno delle valigie in alluminio, nelle quali, pian piano, si stanno liberando degli spazi.
Ci stiamo infatti liberando degli indumenti invernali che ci eravamo portati appresso in funzione delle basse temperature che avremmo potuto incontrare in Patagonia prima ed alle alte quote degli altopiani di Bolivia e Perù.
In realtà, salvo qualche breve episodio che ci ha costretto a guidare di notte, non abbiamo mai avuto grossi problemi con il freddo, a parte le mani.
Ora il clima è decisamente cambiato. Ci si veste molto leggeri ed ancora si soffre per il forte caldo. Sotto la tuta da moto indossiamo le protezioni e sotto a queste solamente una maglietta tecnica, per evitare che le protezioni si “incollino” alla pelle. Finchè si corre si sta bene, quando si rallenta o ci fermiamo, allora in pochi minuti si comincia a sudare. E farà sempre più caldo.
Rientrimo all’hotel e mi diletto a riprendere fotograficamente alcuni esempi delle difese anti “ladrones” che circondano le abitazioni.
A mezzogiorno partiamo con le moto. Fuori Lima la classica periferia infinita, fatta di quartieri poveri e baraccopoli fatiscenti. Per quaranta kilometri solamente baracche di lamiera, di paglia, di fango.
Tutto procede al meglio e corriamo spediti sulla Panamericana che a volte attraversa i paesi, ingorgandosi, altre volte si srotola nel nulla su 4 maglifiche corsie. Va tutto bene, fintantochè il destino non ci fa incrociare una pattuglia di poliziotti in attesa di polli da spennare. A nulla valgono le spiegazioni. Ci estorcono 200 Sol che si infilano direttamente in tasca e ripartiamo.
Il Perù ci ripresenta la sua faccia desertica. Dico desertica non per dire brulla e disabitata ma veramente deserta, come nel Sahara. Non lo sapevo e non me lo aspettavo.
Ormai sono più di mille chilometri di costa ed è sempre deserto. In questo tratto però c’è anche la sabbia, con le dune che arrivano ad invadere la carreggiata ed il vento che ti scaglia punte aguzze sul volto.
Ancora una volta arriviamo di notte perchè le distanze tra un paese per possibilità di ricezione alberghiera e quello successivo sono sempre notevoli. O ci si ferma molto presto, oppure si rischia di non arrivare in tempo alla località successiva.
Un’ora prima del tramonto sorpassiamo una Kawasaki con 2 persone a bordo. Si accodano e procediamo di conserva per una ventina di Km. Poi ci fermiamo per il rifornimento di benzina e loro con noi. Sono una coppia di colombiani che stanno viaggiando da gennaio attraverso tutto il Sud America. Dicono di averci visti ad Ushuaia. Sono molto simpatici. In questo momento stava guidando lei, Andrea. Considerando il carico e la presenza del passeggero, dev’essere proprio brava lei. Credo che li ritroveremo ancora, prima di arrivare a Bogotà.
Viaggiamo per un’altra ora e mezza con il buio. Il traffico, la notte, diventa un nemico molto pericoloso. I camion che provengono dal lato opposto ti abbagliano, tutti!! Quando invece li superi, ti abbagliano perchà sono curiosi. Le visiere dei caschi sono impolverate e la luce si rifrange disturbando la visuale. É necessario procedere senza la protezione della visiera e la sabbia portata dal vento ti sferza con violenza il volto. Ogni volta mi riprometto di non viaggiare di notte ma poi ci ricasco.
Troviamo un albergo. Tre stelle, c’è scritto fuori. Di queste almeno 2 sono sicuramente fasulle.
Per tutta la notte schiamazzi e clacson di auto e tuk tuk. A loro proprio piace suonare il clakson e fino alle sei di mattina non smettono.
Domani punteremo ancora verso nord, verso la frontiere con l’Equador. Stanotte cucirò sulla casacca un’altra bandierina……………
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1 aprile 2010
Ci siamo lasciati alle spalle l’Hotel Cantayo di Nazca con un po’ di dispiacere.
Eravamo rimasti per 2 giorni di riposo e pace. Nulla di meglio da chiedere e tutte le risposte ci sono state date.
Questa mattina abbiamo fatto le cose con calma. Sveglia comoda, ottima colazione, manutenzione della moto e caccia videografica al “Colibri’ Coda Lunga”.
Piccolo, grazioso e scattante, l’ho colto proprio di sfuggita, dopo un lungo appostamento. Ha un volo straordinario il piccoletto, sembra un calabrone. Arriva sulla siepe fiorita, si posiziona in overing a lato del fiore ed inserisce il suo beccuccio proprio come farebbe un’ape. Il tempo di individuarlo e puntare la videocamera e già non c’è più. Si sposta con la velocità tipica degli insetti. Se ne sente il ronzio. Il frullo delle sue ali è talmente rapido da renderle invisibili. Va e viene, ma non si ferma che un attimo e già è altrove.
La strada è polverosa ed attraversiamo la città confusi tra camion e tuk tuk che sfiorano i banchi del mercato affumicando la merce esposta con fumi al nero di seppia, al ritmo dei clacson più strani.
Imbocchiamo la Panamericana che ci consente finalmente di tenere una buona media. Il fondo stradale è perfetto. A parte il traffico molto intenso e l’attraversamento problematico di tutti i centri abitati, il viaggio procede spedito e bene.
Due ore di pieno deserto e dopo una curva, inaspettato, appare lo specchio lucente dell’ Oceano Pacifico. Le sue onde si frangono sulla spiaggia, lanciando in aria una nebbiolina sottile. Dal mare alle Ande è tutto deserto. Mi ricorda il Sinai. Colline brulle e dune di sabbia, sterile e privo di forme di vita evidenti.
Solo una stretta fascia, a cavallo della strada che stiamo percorrendo, è relativamente verde, con tratti di cultura intensiva. É così diverso qui da quell’ambiente che ci eravamo abituati a vedere sugli altopiani. Ora mi è chiara la scelta degli antichi Inca di spingersi verso l’interno, affrontando altezze vertiginose con freddo e fatica.
Le baie sono battute dal vento e la sabbia giunge fino alla strada su cui gioca disegnando spirali ed annebbiando la vista.
Arriviamo a Lima dopo il tramonto e grazie alle precise indicazioni di Enzo non abbiamo difficoltà a trovare l’albergo.
Il contachilometri registra i 13.000 percorsi.
Le strade sono invase dal traffico e presidiate dalle forze dell’ordine. Il quartiere di San Isidro è moderno e pulito. Le case sono circondate da alte mura, difese da filo spinato. Le cancellate esterne ed il cancelletto in ferro che separa il piano superiore dell’hotel, a metà scala, sono eloquenti. Sono cose già viste in città come Caracas, Rio, Nairobi.
Sarà necessaria la massima attenzione domani, quando attraverseremo la città. Carichi come siamo, attiriamo l’attenzione e gli sguardi golosi di chi non ha nulla e nulla da perdere.
Stasera pianificheremo le ultime tappe che ci dovrebbero condurre al confine con l’Equador.
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Volo sulle Linee di Nazca
Download volo sulle “Linee di Nazca” del 31 marzo 2010
Per visualizzare il tour è necessario Google Earth.
31 marzo 2010
Siamo a Nazca, ospiti di un bellissimo hotel sulla cui porta sta scritto “un’oasi di pace”. Naturalmente il proprietario è un italiano. Precisamente di Padova.
Enzo è approdato in Perù 10 anni fa, seguendo la sua curiosità e rovistando tra le pietre di ICA. Col tempo ha rilevato il rudere di una ex fazenda in rovina ed ha realizzato questo piccolo paradiso.
L’hotel, oltre che essere esteticamente gradevole, con i suoi ampi porticati, i vasti saloni, la bella e fornita biblioteca, è anche dotato di ogni comfort, dalla SPA alla palestra, alla piscina, maneggio, stalle e recinti per gli animali più strani, autoctoni o di importazione. Vedo struzzi, tacchini, caprioli, mucche e cavalli.
Oggi qui ho visto con emozione, per la prima volta nella mia vita, dei colibrì liberi che suggevano il polline dei fiori delle siepi.
L’azienda è circondata da 12 ettari di terreno sui quali ha ricreato ambienti tipici e piantato alberi di rara bellezza e cactus recuperati in varie aree della regione. Qui coltiva, con tecniche rigorosamente biologiche (ci tiene a dirlo), quanto necessario per la cucina dei suoi ospiti.
Il proprietario è persona squisita, cultore di filosofie orientali, dedito alle pratiche fisiche e mentali di chi cura la mente e cerca dentro se stesso. Profondo conoscitore della storia e della cultura degli antichi abitanti del Perù, ci fornisce preziose indicazioni per visitare luoghi, permettendoci di arricchire il nostro viaggio.
Ottimo cuoco, cura personalmente ogni particolare, dall’approvvigionamento delle vivande alla cottura di specialità locali ed internazionali. La pasta che abbiamo mangiato oggi, dopo 40 giorni di astinenza, era sublime.
La sua gentilezza ed ospitalità ci hanno convinto a rimanere un giorno più del previsto. Sarà un giorno di relax e, ne sono sicuro, ne sarà valsa la pena.
Stamattina molto presto vengono a prendere per portarci all’aeroporto di Nazca. Andiamo a vedere dall’alto le misteriose “Linee di Nazca”, oggetto da decenni di studi da parte di esperti di tutto il mondo che hanno elaborato le ipotesi più disparate.
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Alle 8,30 decolliamo su un piccolo Cessna a 4 posti. Il volo dura 20 minuti scarsi ma consente di sorvolare la piana che contiene “Le Linee”.
Il terreno è arido e di colore uniforme. Appena decollati si sale a quota 240 piedi. Siamo subito sul deserto. L’attenzione viene attratta da alcune linee che per la loro inconsueta regolarità appaiono in contrasto con il dedalo di incisioni create dall’acqua sul terreno.
In un primo momento mi vien a pensare ad un effetto dovuto alla suggestione, ma il pilota mi assicura che sono “già alcune delle Linee”, anche se non catalogate tra quelle di primaria importanza dal punto di vista turistico.
Lo scopo del volo è infatti quello di sorvolare le figure più note e rappresentative.
Riusciamo a distinguere nitidamente, una dopo l’altra, una dozzina di soggetti.
Il cielo coperto e la luce diffusa non consentono lo scatto di fotografie nitide. Meglio così, ci sono già talmente tanti documenti da poter consultare che non vale la pena di eseguire foto mediocri e rischiare di perdere le immagini in diretta. Sono così suggestive che rimarranno per sempre incise nella mia memoria.
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Informazioni
Le “Linee di Nazca” sono definite come geoglifi, ovvero linee tracciate sul terreno. Si trovano nell’arido deserto di Nazca, posto tra le città di Nazca e di Palpa, nel Perù meridionale.
Sono stati individuati e catalogati oltre 800 disegni e più di 10.000 linee. I disegni più conosciuti includono i profili stilizzati di vari animali, tra i quali la balena, il pappagallo, il colibrì, il condor ed un enorme ragno lungo circa 200 metri.
Si ritiene che i geoglifi siano opera della Civiltà Nazca, fiorita tra il 300 a.C. ed il 500 d.C.
Le Linee risultano evidenti in quanto sono state rimosse le pietre contenenti ossidi di ferro dalla superficie del deserto, evidenziando il contrasto con il pietrisco sottostante, di tonalità più chiara. É opinione comune che le rappresentazioni siano state eseguite in due epoche distinte, prima sarebbe avvenuta la creazione dei disegni stilizzati e successivamente la superposizione delle figure geometriche. La datazione è tuttavia incerta, non potendosi applicare al materiale inorganico utilizzato nella costruzione il metodo di datazione a mezzo del Carbonio 14.
Alcuni studiosi sostengono che la vicina Cahuachi, cittadella mistico-cerimoniale, sarebbe la patria di origine del popolo dei costruttori.
Benchè già qualche accenno alle Linee sia reperibile su documenti storici datati 1547, ad opera dello spagnolo Pedro Cieza de León, bisogna aspettare l’avvento dei voli di linea che consentiranno, solamente e casualmente, la scoperta nel 1927.
Le Linee nel 1939 furono oggetto di studio da parte di un archeologo statunitense che si dedicò al loro studio, fermandosi a Nazca per oltre 8 anni.
Nel 1947 Hans Horkheimer elaborò la teoria che queste Linee rappresentassero il percorso seguito dagli antichi abitanti nel corso di cerimonie rituali.
Infine la studiosa Maria Reiche, archeologa tedesca, sostenne che le Linee rappresentassero un calendario astronomico. Identificò la figura della Scimmia con l’Orsa Maggiore, il Delfino e il Ragno con la Costellazione di Orione e così via.
Secondo la studiosa, l’opera non poteva che essere frutto del contributo di veri tecnici dell’epoca, equivalenti come capacità ai nostri ingegneri moderni.
Questa teoria fu comunque smentita da altri studiosi, in epoche successive. Rimane pertanto la suggestione ed il mistero che avvolgono questa meravigliosa ed inspiegabile opera.
« I vecchi indiani dicono di possedere la conoscenza dei loro antenati e che, molto anticamente, cioè prima del regno degli Incas, giunse un altro popolo chiamato Viracocha. Non erano numerosi, furono seguiti dagli indios che vennero su loro consiglio e adesso gli Indios dicono che essi dovevano essere dei santi. Essi costruirono per loro i sentieri che vediamo oggi. »
Studi di altri archeologi (il tedesco Markus Reindel ed il Peruviano Johnny Isla), tendono a dimostrare come le linee abbiano a che vedere molto più probabilmente con rituali collegati all’acqua, piuttosto che con concetti astronomici.
Molte sono le ipotesi su come i Nazca abbiamo disegnato queste linee. Tecnicamente sono perfette e testimoniano della grande conoscenza della geometria da parte degli antichi abitanti di questa zona. L’ipotesi più accreditata afferma che gli antichi peruviani abbiano realizzato i disegni in scala ridotta per poi riportarli sul terreno a mezzo di un reticolato tracciato con corde.
Link interessanti:
http://www.youtube.com/watch?v=j2JVSH2tTEQ
http://www.youtube.com/watch?v=gwDzq8An204
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