24 aprile 2010 – Il saluto

Eccomi da solo. Dopo 18.000 kilometri di corse, avventura, emozioni, la strana coppia si divide. Era previsto fin dalla partenza. Nini non si sarebbe potuto assentare per più di due mesi. Questa mattina ha consegnato i documenti ad un agente dell’agenzia di trasporto che dovrebbe assicurargli la spedizione della moto. A questo punto io, come previsto, inizio la mia corsa in solitario.
Ho preso tempo, ho aspettato fino alle 15,30 prima di partire. Questa mattina abbiamo fatto il giro di tutte le banche per prelevare del dinero ma non c’è stato verso. Poi mi sono fatto fare 6 copie di ogni documento per evitare di trovarmi in difficoltà alle prossime frontiere e dover abbandonare la moto incustodita per dar la caccia alle copie. Sono sicuro che d’ora in poi nessuno mi chiederà più di produrne. In albergo c’erano i restauratori della “Marimba” (strumento a percussione simile allo xilofono) e così mi sono fatto suonare qualcosa. Purtroppo non disponevano dei bastoncini ma li ho convinti a suonare con le dita.
Ho pranzato con Nini, ho caricato la moto, ci siamo abbracciati e con un groppo in gola ho acceso la mia bicilindrica. Non nego che il partire da solo, sapendo quanto mi aspetta, mi ha dato un po’ di sconcerto. Ho percorso i miei primi 250 kilometri di questo viaggio sapendo che d’ora in poi le scelte, le decisioni, non saranno più oggetto di scambio di idee, che non ci saranno più soste per le sigarette di Nini, non ci saranno più commenti su quanto succede lungo la strada. Beh, ho guardato spesso nello specchietto, ma non c’era nessuno… Il paesaggio? Non l’ho visto.
Appena buio mi sono fermato in una ex Acienda trasformata in hotel. Sono a 10 kilometri da Copan Ruinas, che visiterò domani. Nell’hotel c’è un gruppo di turisti americani. Mi hanno fatto un sacco di feste. Sembra che adorino l’Italia e gli italiani. Quando si è soli, è più semplice attaccar discorso, la gente ti parla subito e questo è positivo.
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23 aprile 2010
Sono trascorsi oggi due mesi esatti da quando siamo partiti da casa. Sono trascorsi velocemente e quello che abbiamo fatto e visto e sentito e provato ci lascerà dentro un segno per il resto della vita. Abbiamo dovuto correre tanto, a volte troppo, per arrivare fino a qui. Molta parte di questi mondi remoti l’abbiamo solo sfiorata, se non completamente trascurata. Quel poco però di cui siamo riusciti a godere rappresenta un nuovo universo. Luoghi e genti, cultura e storia, animali e tradizioni, mari, laghi e montagne, fiumi e deserti. Fatica e polvere, caldo e freddo, sonno e paura, difficoltà e serenità, spazi e libertà. Sono solo parole ma compendiano tutto quello che abbiamo provato, assaporato, sofferto.
É un viaggio nella vita, dentro la propria anima. Nelle lunghe ore di cavalcate eravamo soli con noi stessi, a chiederci perchè ed a ricercare una risposta che sicuramente non verrà mai. Perchè? Per curiosità, per sfida, per amore dell’aria libera attorno a noi, per dimostrare qualcosa a noi stessi od agli altri? Può essere. Un po’ di ogniuna di queste spinte ha partecipato a farci andare avanti, nonostante la fatica, i rischi, i costi di questo viaggio.
Ora io continuerò da solo. Sarà un altro viaggio, senza Nini, senza il compagno con cui ho percorso 18000 kilometri di strade tortuose e difficili, ho attraversato decine di frontiere, ho scambiato impressioni e condiviso momenti belli e momenti difficili. Mi dispiace che sia costretto ad interrompere qui. Nemmeno per lui sarà facile lasciare, sapendo che io continuo. Grazie Nini per questi due mesi di fraterna amicizia che ci hanno avvicinato più di quanto non lo fossimo già.
Oggi ho disfatto tutto il bagaglio. Non voglio proseguire da solo con troppe cose, con troppo peso sulla moto. Ogni volta, quando parto per un grande viaggio, che sia in moto, che sia in barca, mi porto sempre appresso il doppio del necessario. Anche questa volta mi son reso conto di quanto poco basta ed ora voglio svuotare tutto ed eliminare il superfluo. Alcune cose le ho regalate, altre le ho buttate ma ora ho l’opportunità di riempire un borsone per affidarlo a Nini, affinchè lo carichi sulla nave, con la sua moto.
Ho anche deciso di tagliarmi i capelli, visto che in due mesi erano già di nuovo lunghi. La bottega del barbiere non è molto lontana dall’hotel. Il servizio è rapido, buono e costa 2 dollari e mezzo. Il locale è di proprietà di un italo-americano-honduregno che Nini incontra davanti alla bottega, fin che mi aspetta. Due parole e Ronaldo ci invita a bere una birra nel suo locale, sul canale. Birra dopo birra ci racconta un po’ della sua vita, delle sue 3 mogli, dei suoi tre figli che vivono, studiano e lavorano a Miami. É di origini siciliane, di Cefalù. I suoi nonni venirono in Honduras già nel 1910. Ha passato 25 anni della sua vita in Florida, a Miami, ed ora fa la spola tra l’America e l’Honduras, dove ha vari interessi economici. Dalla birra, inaspettatamente, si passa ad un consommè di pollo e verdure. Segue un piatto di verdure da pinzimonio con salsine e le portate proseguono con un piattone di carni varie alla brace, purea di patate, purea di fagioli (frijoles), sottaceti piccanti. Quando siamo ben satolli e pensiamo di aver finito, arriva un vassoio di spaghetti (dolci) con gamberi ed un’aragosta (dolce) ripiena. Gradiamo il tutto e terminiamo con un assaggio di budino al “dulce de leche y coco”. Ospitalità squisita che non riusciremo purtroppo a ricambiare.
Una curiosità: Ronaldo è un colosso d’uomo che si beve il caffè con 5 cucchiai (non cucchiaini) di zucchero e pasteggia con il Chivas, di cui scola una bottiglia al giorno. Ha 61 anni ed è in gran forma….
22 aprile 2010
Javier Fuentes Romero, che ieri si era gentilmente prodigato per aiutarci a trovare un contatto che ci risolvesse il problema della spedizione della moto di Nini, stamattina è venuto personalmente a cercarci in hotel per metterci in contatto con agente della casa di spedizioni. Sembra che le cose si stiano muovendo nel verso giusto. Se tutto va bene, in un paio di giorni dovremmo avere la conferma e la documentazione potrebbe essere pronta per lunedì o martedì prossimi.
Non appena avremo la sicurezza e Nini confermerà la spedizione, io ripartirò verso il lontano nord. Javier ci ha raccontato alcuni degli episodi che recentemente gli hanno reso la vita difficile con i suoi compaesani più malandrini. Ha dovuto chiudere la sua attività ed è stato più volte minacciato con una calibro 45. La moglie è stata anche lei sequestrata ed ha preferito vendere tutto pur di non cedere ai ricatti dei mafiosi locali. É una brava persona e ci sta dando una mano.
Abbiamo avuto tutto il tempo per pensare alla manutenzione delle moto. Abbiamo trovato un buon meccanico. La sua officina? Un prato sotto alla chioma di un albero. Dalla casa vicina escono dei cavi di corrente ed il tubo dell’aria compressa. Varie moto sono disseminate sul prato, la maggior parte sono dei ruderi. Sulla terra non è steso nemmeno un nylon o una stuoia. Numerose galline ci razzolano tra i piedi mentre cerchiamo di partecipare ai lavori. Inizia con lo smontaggio del manubrio della mia Honda che oramai si era irrigidito a causa della polvere entrata nei cuscinetti dell’asse. A lavoro finito mi sembra un’altra moto, leggerissima e maneggevole come non ricordavo più. Poi si procede con lo smontaggio del paracoppa per verificare se il filtro dell’olio, che sarebbe da cambiare dopo 18.000 km, è di un modello disponibile in zona. Negativo. Mi limito pertanto alla sostituzione del liquido. Gli chiedo infine di sostituirmi la lampadina dello strumento che mi segna la temperatura. La domanda era posta quasi per scherzo. In pochi minuti mi chiama per accendere la moto e verificare la luce. Funziona! Da dove avrà tirato fuori una lampadina adatta? Non ha nulla qui attorno, eppure….
A Nini cambia l’olio, smonta l’asse del manubrio, lava i cuscinetti e li ingrassa, gli aggiusta il clacson e gli ripara il supporto di una freccia con tanto di colla bicomponente e rivestimento successivo in vetroresina. Wow……!!!
Bravo, bravissimo. Quando arriva il buio gli dobbiamo far luce con la nostra pila. Non ha nemmeno una lampadina.
Ci si dedica per diverse ore. Spendiamo in tutto 600 limpira (30 dollari), olio a parte, ovviamente.
Quando rientro in albergo trovo un messaggio di uno dei ragazzi messicani che avevamo incontrato sulla Ruta 40, l’8 marzo. Mi ha mandato anche una fotografia di quando ci eravamo visti. Mi aspettano per quando passerò per Tuxtla, nel Chiapas.
Ho iniziato a selezionare le cose che dovrò eliminare. Alcuni oggetti li ho regalati al meccanico: compressorino ad aria, camera d’aria, pompa mano, rotolo di nylon ed altre cosette che mi serviranno sicuramente a partire da domani ma che fin’ora mi sono inutilmente trascinato dietro per 18.000 km. Riempirò una borsa con altre cose che non ritengo necessarie e la affiderò a Nini. Devo alleggerirmi e devo fare il possibile per non avere cose ammonticchiate sulla moto per viaggiare meglio ed evitare che la gente mi venga attorno e tocchi e prenda e……
Un dubbio ce l’ho sulle cose pesanti. E se poi, in Alaska, farà più freddo di quanto non ha fatto in Patagonia? Mah, penso che l’acquisto di un capo pesante, se necessario, non mi ridurrà alla bancarotta……..
21 aprile 2010
Oggi non c’è alcun itinerario da inserire nel sito. Siamo rimasti a Puerto Cortes per contattare alcune agenzie marittime. Dopo molti giri a vuoto abbiamo incontrato, all’entrata del porto, un signore molto gentile, tra i tanti che si sono precipitati attorno a noi per curiosare, domandare e toccare le moto, che si è prodigato per procurarci un contatto. Sembra che ci sia riuscito. Ora non resta che attendere un giorno o due per avere le informazioni necessarie e procedere poi all’imbarco oppure proseguire verso altra destinazione.
Ci siamo trasferiti nell’altro hotel. Più moderno e confortevole ma comunque lontano dal centro. Non avevamo alcun desiderio di toccare le moto e così siamo rimasti a gozzovigliare tutto il pomeriggio. Nini a sistemare le valige ed io a studiare le carte e gli itinerari dei prossimi giorni.
Oltre la strada, a due passi, c’è il mare. Nell’hotel c’è anche una piscinetta. Ho prelevato dalla borsa il costume da bagno ma è rimasto lì, sul letto. La pigrizia e la necessità di riposo hanno avuto il sopravvento. Domani mi impegnerò di più e mi dedicherò ad una approfondita revisione della moto.
20 aprile 2010
Giornata piatta. Poca strada. Nulla da vedere se non uno strano connubio, in paesaggi alpestri, di pini e banani. Come negli altri paesi che abbiamo visitato, anche qui esistono le aree specializzate, nelle quali si concentrano i produttori/venditori di certi prodotti.
Attraversiamo una certa area e notiamo un chiosco di vendita di miele. E poi un altro ed un altro ancora. Poi a decine, sui due lati della strada, che espongono vasetti e bottigliette di miele ambrato.
Dopo di che è il momento dei venditori di amache e allora per un po’ è tutta un’esposizione di amache.
In seguito vengono le arance, le banane, i cocchi e così via. Non comprendo la logica di queste aggregazioni che mettono in concorrenza tra di loro i vari espositori. Questa particolarità l’avevamo notata un po’ dappertutto, anche nelle città. Intere vie sono ad esclusiva presenza di officine, altre di ferramenta, altre di negozi di moto e così via. Un negozio dopo l’altro con esposto lo stesso prodotto.
Oggi, sulla montagna, abbiamo visto un nuovo segnale stradale. Riportava in nero, su sfondo rosso, la sagoma di un tapiro. Finora sui cartelli avevamo visto disegnato, oltre alla classica mucca, il guanaco, il lama, l’armadillo, il bradipo, l’iguana e il serpente.
Viaggiamo bene, su strade larghe e ben tenute ma il caldo ci mette a dura prova. Arriviamo infine a Puerto Cortes. Cerchiamo un hotel ma la cosa si presenta difficile. Dopo 2 ore di ricerca decidiamo di fermarci in un posto fuori dal paese, immerso nella natura, sulla spiaggia del caribe. Lo stabile è decadente e l’ambiente un po’ tetro. Per stanotte andrà bene comunque. La doccia è fredda e non c’è cucina. La causa, dice il gestore, è del terremoto che ha colpito la zona lo scorso anno. Mah, sono punti di vista……..
Girando nel paese, nel pomeriggio, ci siamo fermati ad un lavaggio auto per far ripulire le moto, ormai ricoperte di polvere e fango. Il gestore, persona affabile e simpatica, ci ha voluto omaggiare del servizio e ci ha addirittura offerto le bibite che avevamo consumato nell’attesa. Mi ha inoltre accompagnato dal suo oculista dove in mezz’ora mi son fatto montare le lenti dei miei occhiali rotti su una nuova montatura.
In serata il padrone dell’hotel è venuto a prenderci con l’auto per condurci a cena nell’altro suo hotel, dall’altra parte del paese. L’ambiente è decisamente diverso e domani ci trasferiremo qui. Prima di cena ci ha raccontato della guerra di mafia che si sta svolgendo, in Honduras, come negli altri stati del centroamerica, dove le gang messicane stanno imperversando e fanno strage degli avversari.
Acquistano tutto e di tutto, investendo i proventi del commercio di coca. La polvere bianca si trova ovunque, ci dice, vista la semplicità di collegamento tra Colombia ed il porto locale. Ci sono lance molto veloci, dotate di 4 motori potenti che riescono a sfuggire a tutti i controlli e trasportano anche 5 tonnellate di droga alla volta. Un ambientino molto particolare………..
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19 aprile 2010
Controllo moto e partenza. Paesaggio privo di interesse, questo del Nicaragua. Solamente negli ultimi chilometri prima del confine lo scenario muta, arricchendosi di pascoli e pinete.
La strada continua ad essere bella e sale con un succedersi di curve, inoltrandosi nella vallata che ci condurrà in Honduras.
Alle 10 siamo già alla frontiera. Una folla di aspiranti aiutanti si fa attorno ancor prima che fermiamo le moto. Sono pressanti e la cosa comincia a dar fastidio. Assumiamo il “nostro” assistente. É un ragazzo giovane, con evidenti segni di problemi motori e con difficoltà ad articolare le parole. Ciò nonostante ci rende un buon servizio. Si premura di far mettere i visti sui passaporti e paga le diverse gabelle che vengono imposte dalla Municipalità, Polizia e Dogana del Nicaragua. Ci riconsegna le carte e gli diamo una mancia di 3 dollari. Il tutto richiede meno di mezz’ora.
Passiamo ora dalla parte dell’Honduras. Polizia bene, nessun problema. Dogana ben……… no, aspetta, il capo della dogana è una donna!! Ci risiamo. Ci chiede 2 copie di ogni documento che abbiamo e che non abbiamo. Naturalmente le copie bisogna arrangiarsi a farle. La faccio breve. 2 ore e mezza e solo ricorrendo alla serie più ipocrita e meschina di falsi sorrisi di cui sono capace (ma segretamente augurandole una crescita abnorme di quelle ghiandoline che disturbano quando ci si siede).
Eccoci in questo nuovo paese, simile al precedente, che però denota lievi segni di maggior benessere. Qui almeno si vede qualche area coltivata ed i villaggi appaiono più vivi.
Tegucigalpa la lasciamo, scorrendole sulla sinistra e procediamo verso nord. Il nostro prossimo obbiettivo dovrebbe essere Puerto Cortez.
Naturalmente le cose non vanno come previsto. Una prima pattuglia di polizia ci ferma ed esamina tutti i documenti. Ripartiamo. Una seconda pattuglia ci riferma e vuol vedere i documenti. Un poliziotto mi contesta la rottura della lampada del faro e mi sventola sotto al naso il blocchetto delle contravvenzioni, oltre al codice della strada. Gli spiego che dei due fari uno è per la luce anabbagliante, l’altro per l’abbagliante. Nulla da fare. Insiste che ho un faro rotto e vuol farmi la multa. Mi sembra proprio un asino. Scendo e gli ripeto, nell’ordine, l’accensione delle luci ai vari stadi: posizione, anabbagliante ed abbagliante. Niente. Allora lo mando a quel paese e finalmente capisce. Diventiamo amici ed andiamo tutti al bar dove ci scrocca una bottiglia da 2 litri di aranciata. Ce ne fosse stata una da 4 litri, avrebbe scelto quella. Beviamo, saluti, abbracci e baci e ripartiamo. Che bel paese……………Naturalmente a Puerto Cortez ci arriveremo domani.
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18 aprile 2010
Oggi ci siamo dati un po’ di margine di tempo per riprenderci delle fatiche di ieri. Io ho dormito come un sasso, Nini invece ha sofferto per il caldo.
Partiamo che sono già le 11.30. C’è un bel cielo sereno ma già “mucho calor”. Costeggiamo il lago Nicaragua e scegliamo un itinerario che ci faccia evitare Managua. Il passaggio nelle città, da queste parti, non è raccomandato.
Da quanto riusciamo a vedere, il paese si presenta molto più povero dei precedenti da noi visitati. L’agricoltura è assente in gran parte del territorio. Sterpaglie e savana secca contrastano con il verde brillante dei panorami degli ultimi giorni. Le rare piantagioni di banane hanno le piante striminzite e molte sono ammalate, con fogliame secco e cadente. I cocchi sono piccoli e la canna da zucchero molto bassa. Il bestiame è magro e sofferente. Vediamo delle vacche e dei cavalli scheletrici e piagati che ci fanno proprio pena. Sono lungo la strada, legati con una cordicella, sotto al sole cocente e restano immobili con lo sguardo fisso nel vuoto, le costole si possono contare tutte.
Qui i cavalli sono il mezzo di locomozione più diffuso. Si vedono cavalieri ovunque, con il loro lazo e la coperta legata alla sella di cuoio e tela. Per il trasporto di più persone sono utilizzate le corriere, piene dentro ed affollate sul tetto, i furgoni telati, stipati di donne e bambini ed i pick up, “ripieni” di persone e animali. I cassoni aperti dei camion portano un carico misto e alternato (tipo doppio hamburger) di persone e cavalli o vacche. Non voglio pensare che tipo di polpetta potrebbe uscirne in caso di frenate brusche o peggio, di incidente.
Sulla strada i banchetti che vendono frutta hanno poco da esporre. Tuttavia ci fermiamo, dopo un centinaio di kilometri, per ristorarci. Mi assaporo un succo di cocco, suggendolo direttamente dal frutto. La noce è piccolina e rimango subito a secco. Nini si fa tagliare un melone e nel frattempo assaggiamo delle banane. Il melone di Nini non è molto buono e allora procediamo con l’ananasso. Anche questo non è all’altezza di quelli dell’Ecuador, anzi, siamo ad anni luce per gusto, colore, dimensioni e presentazione. Siamo seduti all’ombra, sotto alla tettoia di stuoia e si sta bene. La famiglia che gestisce il chiosco è composta da più generazioni. Sono simpatici e sembrano brava gente. Le bambine giocano con un pappagallino verde. É libero e quando lo desidera se ne va, ma poi ritorna.
Sulla strada si ferma un gruppo di motociclisti locali. Sono di Managua. Hanno visto le nostre moto e le stanno osservando con interesse. Nini si avvia verso di loro ed inizia a conversare. Le domande sono sempre le stesse: – Dove state andando, da dove venite, qual’è la cilindrata, da quanto tempo state viaggiando etc, etc.- Ci scattano anche delle foto. Stanno compiendo un giro domenicale e per un tratto il percorso sarebbe comune. Si offrono quindi di guidarci per indicarci la via. Tra una chiacchiera e l’altra saltiamo sulle moto e partiamo. Una ventina di kilometri assieme e poi si fermano per darci le ultime indicazioni. Poi proseguiamo da soli. Altri 15 kilometri e sto pensando a come mi sento leggero oggi al confronto del patimento di ieri. La schiena poi, non sento nemmeno il peso dello zaino………LO ZAINO!! Dov’è lo zaino! O Madonna mia, ho dimenticato lo zaino sulla sedia del chiosco. Dentro allo zaino ci sono il passaporto, il PC e tutti i dollari in una busta. Fermo la moto all’istante, spiego a Nini il problema e ripartiamo in senso opposto. In un quarto d’ora arriviamo al chiosco. Tutta la famiglia è sulla strada e non appena sentono il rumore delle moto si sbracciano per richiamare la nostra attenzione. Io infatti ero passato davanti senza accorgermene. Mi danno lo zaino e mi informano che avevano anche tentato di rincorrerci con una moto ma non erano riusciti a raggiungerci. Nello zaino c’è tutto. Ma allora non è vero che sono tutti “ladrones”.
Riprendiamo il viaggio. Abbiamo perso un’ora. Dopo un po’ di strada, mentre ci stiamo rifornendo di benzina, si scatena l’uragano. Fulmini si schiantano attorno a noi ed i tuoni esplodono come cannonate. La pioggia scende a “sece roverse”. Partiamo che ancora sta gocciolando ma vista l’esperienza di ieri, senza tuta. In pochi minuti siamo fradici. Percorso un breve tratto esce il sole che in un batter d’occhio ci asciuga. Se avesssimo indossato la tuta da pioggia ora saremmo in imbarazzo, toglierla o tenerla? Proseguiamo fino ad incontrare un paese più grosso degli altri e qui ci fermiamo per la notte. Non ce la siamo sentita di sfidare la sorte nelle prossime dogane all’imbrunire.
A cena ci vogliamo trattare bene, abbiamo notato un avviso che pubblicizza un ristorante “Casa Italia” con precisato “Chef Italiano”. Non ce lo possiamo perdere!! É innegabile, la pasta ci manca. In 50 giorni l’abbiamo mangiata bene a Nazca, nell’Hotel Cantayo di Enzo, in Costa Rica, quando mi sono appropriato della cucina e diretto la Mamy di colore che pretendeva di cuocere la pasta in mezzo bicchiere d’acqua, senza sale, lasciandola bollire per un’oretta, ed infine stasera, nel locale scalcinato di questo salernitano, ex funzionario dell’Unipol che da sette anni risiede in Nicaragua, dove si è improvvisato cuoco. Nell’attesa della pasta ci prepara delle bruschettine cariche di aglio che degustiamo mentre improvvisiamo una sfida a biliardo su un tavolo che deve aver visto tempi migliori.
A fine cena accettiamo l’invito di un tedesco/nicaraguegno, qui residente da 25 anni, che in coppia con il gestore del ristorante desidera sfidarci. Naturalmente ci “lasciamo” battere………
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